Interno notte. Esterno giorno. Scene di una vita.
Quando mi sono ammalata, come Alice nel Paese delle Meraviglie mi sono ritrovata troppo piccola nella stanza chiamata carcinoma ed ho capito che da sola era impossibile uscirne. Non ero più sana, ma ricordavo bene cosa volesse dire.
Sperimentavo quel tipo di confine che è lo scoprirsi al margine.
Vivevo simultaneamente tre mondi: quello dell’ospedale, quello del lavoro e quello della dimensione sociale. A chi appartenevo? L’ospedale non era la risposta alla mia vita familiare ed affettiva, il lavoro non era la soluzione alle mie problematiche fisiche, la società mi considerava un individuo inserito in un percorso di cura, quindi di fatto disinserito dal circuito normale.
Chi ero? Come esprimere il disagio e la paura?
Da sempre l’espressione artistica mi aveva aiutata a veicolare fuori da me dubbi ed emozioni, a dare loro forma ed ordine, in modo da comunicarli.
Attraverso l’Arte della scrittura e della fotografia, ma anche del saper cogliere le sfumature dei colori, la plasticità delle ombre e la poetica degli spazi, ho trovato le risposte per ricostruire il mio essere integro dopo la deflagrazione.
L’Arte ha suturato le ferite e, come un bottone, ha ricongiunto i mondi nei quali ero stata divisa come un ponte tra l’interno della mia sofferenza pieno di buio e l’esterno del mondo dei sani pieno di luce.
E così, quando ho raccolto tutti i “pezzi di me in pezzi, su fogli di carta sparsi” ho visto che erano un percorso: da dentro a fuori, dal dolore alla speranza. Tanta sofferenza non poteva restare senza frutto. Sentivo l’urgenza di condividere ciò che avevo scoperto, di svelare a quanti più possibile l’uscita dal labirinto.
Avevo solo un gomitolo di giorni inutili tra le mani, ma sapevo che con l’aiuto di chi avesse compreso l’importanza del mio messaggio, avrei potuto essere per gli altri quello che avevo sperato esistesse per me. Così nacque “Interno notte. Esterno giorno. Scene di una vita”.